domenica, ottobre 22, 2006

Scuole, moschee, Ucoii e la sinistra

Sulle pagine dei giornali sono figurate negli ultimi giorni due vicende molto attuali che riguardano l'integrazione musulmana qui in Italia: la scuola italo-egiziana a Milano e la moschea dell' Ucoii a Genova. Si possono affrontare i problemi singolarmente, uno per uno. Per esempio, partendo dalla scuola a Milano, già chiusa quand'era al centro islamico di viale Jenner perchè clandestina, spostata in nuova sede e riaperta dagli organizzatori illegalmente perchè senza il via libera delle amministrazioni, poi richiusa dopo le proteste di chi non tollerava quella illegalità; probabilente non si può impedire l' apertura di scuole italo-arabe sul nostro territorio (arabe, non islamiche, attenzione) e forse non sarebbe neanche giusto, ma servono regole ben definite e soprattutto ben applicate per impedire che deviino verso il fondamentalismo e per fare in modo che convoglino i loro alunni verso l'integrazione nella società italiana. Dobbiamo essere noi italiani quelli che si impegnano a formulare e far rispettare queste leggi, pertanto la sicurezza di queste scuole dipende più da noi che da chi le dirige; lo Stato deve sapere bene chi insegna in quelle scuole, cosa insegna e come lo insegna e agire nel caso nel fare questo si vada contro i valori del nostro paese. Bisogna considerare poi che questi istituti andrebbero a togliere studenti dalle scuole islamiche clandestine, che non si fanno problemi a insegnare l' estremismo. Passando al caso della moschea genovese che sarà costruita con l' aiuto e il terreno dei frati francescani (che in cambio avrebbero un capannone per farne un centro cristiano in una zona industriale) , il fatto preoccupante è che l'accordo i frati l' hanno preso con l' Ucoii, quell' Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia che è braccio da noi dei Fratelli Musulmani e che ha equiparato comprando pagine su quotidiani l' attacco di Israele al Libano alla strage di Marzabotto dei nazisti, che si rifiuta di firmare al Ministero dell' Interno la Carta dei Valori e che ha costretto il poco risoluto Amato a convertirla in una Carta destinata non solo alle rappresentanze islamiche ma a tutte le religioni, togliendole ogni efficacia contro il fondamentalismo, che segue l' ideologia estremista degli stessi Fratelli Musulmani. Preoccupa il fatto che siano stati dei francescani a vendere il terreno a questa gente e preoccupa il rapporto fra Chiesa e quell' estremismo islamico non armato ma pervadente e espansionista proprio dell' Ucoii. Anche in questo caso non penso che la soluzione sia vietare le moschee, ma stabilire leggi efficaci che impediscano loro di diventare luoghi di fondamentalismo, come obbligare i sermoni in italiano, dare una specie di "licenza" di imam (come ci ha proposto l' erede di Maometto, il re del Marocco, che ha intelligentemente istituito un corso di laurea per imam, sottraendo questo ruolo religioso agli estremisti), perseguire chi fa discorsi guidati dall' odio e altre; allora le moschee diverrebbero vantaggiose anche pernoi e ridurrebbero il fondamentalismo. Se vogliamo però non prendere i singoli fatti, ma la situazione totale, vediamo che nel nostro paese ma anche in Europa risaltano due problemi. Il primo è la nostra incapacità di fare leggi che affrontino il problema con decisione e soprattutto di farle rispettare: l' integrazione in America ad esempio, che non è esente da problemi, funziona meglio di quella europea grazie alle sue leggi, anzi grazie alla Legge. "It's the law", ti dicono; e la legge non si infrange, non si trova l' inganno e questa mentalità impone anche a chi arriva lì di rispettarla, perchè sanno che dalla legge non si scappa, o si scappa meno che altrove. Il risultato è che il problema degli immigrati musulmani è molto più leggero negli Stati Uniti, dove nelle moschee non si arruolano kamikaze e non si fanno sermoni fondamentalisti. Da prendere esempio. Il secondo problema è il rapporto della classe politica con l' Islam radicale, soprattutto della sinistra: per un perverso gioco, quella sinistra che dovrebbe essere laica si trova per comunanza di odio (verso l' Occidente) a fianco degli estremisti musulmani e così vediamo Rifondazione che prende come europarlamentare (e noi la paghiamo) Dacia Valent, il presidente dell' Ucoii che consiglia prima del 9 Aprile di votare Comunisti Italiani perchè hanno condiviso le loro lotte, le giunte di sinistra fondare moschee a man bassa e tante altre schifezze. Sembrerebbe quasi che a sinistra si sia rimpiazzata Unione Sovietica con Estremismo Islamico, sempre contro lo stesso nemico, sempre contro tutti noi. Sono problemi che l' Europa e la sua classe dirigente devono trattare a breve, senza indecisioni o timori.

domenica, ottobre 15, 2006

Il test nordcoreano è un gioco a quattro

I recenti esperimenti nucleari nordcoreani coinvolgono ben di più che una bomba atomica fatta esplodere sotto terra e un regime oppressivo: si svolgono all' interno del dramma della nuova lotta mondiale per il potere. Come un dramma, lo analizziamo dai punti di vista dei suoi attori, Corea del Nord, Cina, Stati Uniti e uno spettatore, l' Iran. La Corea del Nord versa da anni in una situazione disastrosa dal punto di vista economico e umano. Dietro alle grandi parate militari per il presidente semidio Kim Jong Il non c'è che miseria (classico risultato del comunismo, ad ogni modo) per il popolo, tutto quel poco che il paese produce viene destinato alle spese militari tanto che l'esercito, pur in una nazione ridotta alla fame, costituisce ancora una seria minaccia per il ricco e libero Sud. Il dittatore nordcoreano ha molti grattacapi al momento, specialmente uno: la Cina, suo "alleato" scomodo e prepotente, che è in vena d'espansionismo e incombe costantemente sul piccolo vicino, senza aspettare altro che il regime di Kim Jong Il crolli per allargarvi la sua influenza. Qualcuno dice che la Corea abbia lanciato il test nucleare per attirare l' attenzione del mondo, e soprattutto degli Stati Uniti, sul suo paese ed evitare che la Cina silenziosamente ne prenda il controllo; quel che è sicuro è che il test nucleare può essere interpretato come la mossa di un regime che si sente traballante e in pericolo, non come la prova di forza di una grande potenza. Ora vediamo il tutto da un altro punto di vista. Bisogna capire che la Cina sta studiando da superpotenza e intende cominciare ad esserlo in Asia, dove cerca di soppiantare le interferenze occidentali ed espandere la sua influenza. Per i cinesi la Corea del Nord è una grande occasione, uno stato importante governato da un regime destinato prima o poi al crollo che potrebbe diventare un fedele protettorato ed è ovvio che vogliono giocare la partita per il suo controllo, proprio mentre Stati Uniti, Corea e Giappone vorrebbero liberarsi del suo regime e farne uno stato libero, anzi forse un' unica Corea. La Cina allora gioca a fare l'alleato della Corea del Nord, pur condannandone l' esperimento nucleare e malgrado tifi contro Kim Jong Il, ma prima di tutto cercherà in ogni modo di evitare che siano l' America o i suoi alleati a prendersi cura di Pyongyang e lo farà contrastando sanzioni dell' ONU e azioni militari dei suoi rivali. Dal punto di vista degli Stati Uniti la situazione è invece più preoccupante. Le forze armate americane sono impegnate in buona parte in Iraq e Afghanistan e ne restano poche per altre crisi; i soldati statunitensi in Corea del Sud dovrebbero bastare, insieme all' esercito locale,migliorato nel tempo, per respingere un' invasione nordcoreana, ma non per attaccare il Nord: nel caso di arrivo di rinforzi l'invasione di terra avrebbe un probabile successo grazie alla superiorità militare americana, ma a carissimo prezzo di vite umane dato che l' esercito di Pyongyang si annida in fortificazioni costruite in 50 anni ed è quindi molto preparato ad un attacco dal sud. L' azione militare è poi sconsigliata, almeno una di scarsa intensità, dal fatto che Kim Jong Il tiene puntati 13000 cannoni su Seul, vicina al confine, dove vive metà della popolazione sudcoreana, capaci di lanciare mezzo milione di bombe sulla capitale in un giorno. La Casa Bianca deve pensare ad evitare che con la Corea del Nord si arrivi a breve alle armi o trovare le forze per un attacco massiccio e nel contempo sottrarre il palcoscenico ed il gioco ai cinesi, sono necessarie quindi nella battaglia diplomatica velocità e determinazione. Il tutto è sicuramente influenzato da come vanno le cose in Iraq, ma è lecito pensare che la situazione in medioriente si risolverà molto dopo un' evoluzione della crisi asiatica. Resta lo spettatore, l' Iran. Si sa che questo paese è alleato da tempo con Pyongyang e ne condivide le informazioni sulle armi nucleari, quindi dovremmo preoccuparci del fatto che anche Ahmadinejad sia vicino all'arma atomica. Non è difficile immaginare che il test nucleare coreano sia una specie di prova generale a cui l' Iran assiste per capire come potrà reagire la comunità(che di comune ha poco) internazionale quando dimostrerà di avere anch' essa una bomba atomica. Dando per scontata la passività dell' Europa di fronte a certi avvenimenti e i bastoni fra le ruote della decadente Russia e la nascente Cina, la risposta del mondo libero sarà come al solito affidata agli ultimi che si sbattono (passatemi il termine) per difendere gli interessi del mondo libero. C'è da augurarsi che tale risposta sarà decisa e veloce, altrimenti presto anche l' Iran farà il suo test nucleare e la sua minaccia per quel che resta della stabilità mondiale sarà ben peggiore di quella norcoreana.

L’essere é e non può non essere: ovvero secondo Parmenide di Elea, famoso filosofo, i Senatori a Vita...


L’essere é e non può non essere: ovvero secondo Parmenide di Elea, famoso filosofo, i Senatori a Vita, in uno stato democratico, rappresentano il segno di una pericolosa emergenza dittatoriale gerontocratica.

Questa cari miei è una maledetta emergenza democratica, perché ai cittadini italiani è stato tolto il primo vero potere, nonché diritto fondamentale, spettante loro in uno stato veramente democratico: il potere di sovranità, ovvero il diritto di governare collettivamente il proprio Paese e deciderne le sorti, che secondo il principio democratico si concretizzerebbe nello scegliere liberamente e a maggioranza chi li debba rappresentare stando al governo del Paese, cioè chi debba decidere di parte della loro (leggasi nostra) vita.

Ma è anche qualcosa di più, è un’emergenza democratica “stagionata”, perché ci troviamo già da tempo e senza ben accorgercene, in una gerontocrazia, che io definirei in sostanza come il governo dei cateteri d’oro: persone che possono aver perso (e probabilmente è così), le proprie facoltà razionali e versare in uno stato di non piena lucidità mentale, di capacità di intendere e volere ridotta o deformata, hanno il controllo della nazione.

Loro, ma non il cittadino, non il popolo, e soprattutto non il Parlamento, eletto sempre nel nome del popolo “sovrano”.

Ormai è tanto che cerco di farmene una ragione, ma non ci riesco, ho bisogno di condividere con voi alcune riflessioni che mi angosciano, che non mi fanno dormire la notte, neanche mi fossi coricato subito dopo avere mangiato la peperonata e che riguardano il perché la situazione sia così terribile nel nostro Paese: il perché non possiamo vivere in uno Stato libero e democratico, con un minimo di coerenza nei confronti dei valori su cui si fonda e con una sufficiente dose di coscienza sociale.

Se seguirete questo ragionamento e le sue implicazioni, nonostante alcune osservazioni siano, per necessità esplicative, morbosamente marcate e rimarcate, forse capirete come mi sento…

Gallina vecchia non fa buon brodo.

Essendo che i Senatori a Vita sono “investiti” di una carica a durata vitalizia, accadrà inevitabilmente che essi si ritroveranno ad esercitare la loro funzione anche quando saranno molto avanti con l’età, con tutte le conseguenze che ciò comporta.

Già è così, perché i Senatori a Vita potrebbero arrivare, rimanendo in carica a tempo teoricamente indeterminato, all’età ipotetica di Matusalemme, oppure a quella dell’uomo o della donna più vecchi al mondo tuttora, rispettivamente 115 e 117 anni, e versare in condizioni non proprio di piena lucidità e reattività: perché si sa, andando avanti con gli anni non si hanno piu’ le stesse prestazioni di una volta, come dice la Pfizer (la casa farmaceutica inventrice del famoso farmaco conosciuto come Viagra).

La morale?

La morale è che in primo luogo vi conviene guardare la foto di Emiliano Marcado del Toro (115 anni appunto), che pur essendo un adorabile canuto, e con tutto il rispetto dovuto per l’anzianità, la dice lunga sulla capacità di essere energici, reattivi, recettivi e vigili al 100%, quando si supera “La carica dei 101”, ma forse anche quella dei “99 Posse” e mi sa un po’ prima pure (NB salvo rarissime eccezioni ovviamente).

In secondo luogo persone che potrebbero essere narcolettiche, miopi di 8 decimi per occhio, con artriti deformanti e ipertensione arteriosa “a tutta birra”, non ci danno la garanzia di premere il tasto giusto al momento giusto o di scrivere le cose giuste nel posto giusto (mi riferisco alle votazioni ad esempio), né ci danno la garanzia di essere utili allo Stato: oltre a prosciugarne “a vita” le casse per pagare i loro onorevoli stipendi, saranno in grado di capire le situazioni e le cose opportune da farsi o finiranno per essere delle mine vaganti senza controllo, visto che tra l’altro non è presente nei loro confronti alcuna “certificazione di risultato”, cioè che si possa giudicare sul fatto che essi abbiano effettivamente svolto un utile lavoro per il Paese?

Cambiando discorso lo sapevate che i Cardinali ultraottantenni sono esclusi dal Conclave? Perché mai, secondo voi, vengono esclusi dall’elettorato attivo? Forse perché la Chiesa Cattolica ha riflettuto, in modo logico, sul fatto che per materie così importanti, come l’elezione del Papa, è importante che gli elettori siano ancora nel pieno delle loro facoltà mentali e della loro lucidità? Pò esse!

La carica di Senatore a Vita, così come originariamente concepita, si basava sulla ratio, ovvero sul principio, secondo il quale ad illustri soggetti, distintisi per il loro impegno culturale e civile, si sarebbe dovuto riconoscere il merito di aver reso un servizio tale alla nazione per cui, avrebbero meritato l’onore di potersi sedere in Senato, la camera alta, e di partecipare alle assemblee e alle decisioni che in tale assise si sarebbero tenute.

Ma tale privilegio era stato principalmente visto nell’ottica di svolgere una funzione consultiva e di assistenza ai membri di tale Assemblea, soprattutto nei campi in cui i soggetti nominati si erano distinti, ma non di realizzare, in primo luogo, una funzione politica: funzione che per principio non sarebbe loro propria, non essendo stati “investiti” della prestigiosa carica in virtù di una nomina basata su mandato elettorale, ossia su una scelta fatta dagli elettori e fondata per esempio, sull’appartenenza ad un gruppo politico, ovvero un partito con determinati valori, principi e indirizzi.

Funzione, quella politica dei Senatori a Vita, che non è quindi compatibile col principio di sovranità popolare, che si basa proprio su tale fatto: che è il popolo italiano nel complesso a dover scegliere il governo e l’indirizzo politico di questo, tramite la nomina dei propri rappresentanti, non solo alcuni cittadini; cittadini che risultano essere proprio i Senatori a Vita, i quali col loro potere di voto al Senato, anche in materia di fiducia al Governo, possono fare si che si verifichi in concreto questa situazione antidemocratica.

Poche persone, pochi Senatori a Vita dunque, si trovano nella condizione potenziale di fare la differenza tra la scelta di formare in un certo modo un Governo o formarne uno diverso, si trovano cioè nella condizione di avere un potere superiore rispetto agli altri Senatori che invece sono presenti in numero fisso prestabilito e che sono stati eletti dal popolo: ciascuno di questi infatti, per essere eletto, deve essere scelto e votato da migliaia di elettori, non scelto da uno solo, (che e’ il Presidente della Repubblica), e nei confronti di quegli elettori il Senatore eletto e’ responsabile e portavoce.

Poi la parola “a vita” è particolarmente inquietante, perché fa capire come in nessun caso il Senatore a Vita possa rispondere del suo comportamento politico nei confronti dei cittadini dello stato, poiché se un Senatore non viola norme penali o civili, ai quali è comunque soggetto (con relativa disciplina specifica applicata ai membri del parlamento), non è in alcun modo giudicato dal popolo sia nel suo operato che per i suoi comportamenti, nella sua moralità, nel modo che ha di servire lo Stato come membro del Parlamento: é come se questo Senatore venisse in ogni caso rieletto all’infinito, non essendo mai e poi mai soggetto ad alcun rapporto di fiducia o a mandato popolare.

Mentre un qualsiasi altro membro delle Camere può non essere riproposto dal proprio partito, ma soprattutto può non essere riconfermato dagli elettori (in questo sta il principio della sovranità popolare), perché ritenuto per esempio, non meritevole, il Senatore a Vita resiste inossidabile come una gargolla, attraverso le peripezie della camera alta, in un atteggiamento di paciosa attesa che il tempo e i piccioni facciano la loro parte.

In terzo luogo, (e qui finiamo di scherzare, perché comincia la parte più seria), è che Parmenide di Elea, noto filosofo e saggio, ci maledice dall’alto dei Cieli e la sua anima non trova pace, perché l’uomo non lo vuole ancora ascoltare dopo più di 2500 anni: “l’essere é e non può non essere” e viceversa, logicamente, “il non essere non é e non può essere”, diceva costui.

Così ci suggeriva con amore il buon Parmenide.

La Costituzione dice che:
Art. 1 “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”

Ma anche che:
Art. 59 “È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica.Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.”


Quindi nell’articolo 59 della fonte di diritto suprema, la Costituzione della Repubblica appunto, fonte su cui si basano tutti i principi, valori e ideali dello Stato e del suo Corpus Iuris, si giustifica un principio contrario a quello sancito precedentemente, (cioè quello dell’art 1), e si ha quel fenomeno che Parmenide ci spiega non essere possibile, salvo in un caso: “l’essere non può mai non essere”, dice egli, “salvo un caso, che in poche parole, nude e crude, si chiama menzogna”.

“Come è possibile che una cosa abbia delle qualità che sono il suo contrario”, prosegue il saggio Parmenide, “la democrazia non può avere caratteristiche antidemocratiche, perché se una cosa non può essere ciò che non è, logicamente non può avere neanche qualità che sono il suo contrario, se questo avviene vuol dire che non stiamo parlando di quella cosa, ma di un surrogato della stessa, anzi proprio di una cosa che è totalmente diversa e probabilmente è il suo contrario”.

Se accade questo è come se si usasse un nome per “vestire” qualcosa che ha un nome diverso: come mettere un vestito da donna ad un uomo e dire che e’ una donna, non lo sarà mai, anche se facesse milioni di operazioni chirurgiche di ogni tipo e si cambiasse il nome da Gustavo a Giusy sulla carta d’identità, poiché il Padre Eterno così l’ha fatto e così sempre sarà, è nel suo DNA e non potrà mai avere le stesse, identiche caratteristiche fisiche e fisiologiche di una donna, perchè non lo è, per quanto possa finire per somigliarci e non potrà mai esserlo.

Menzogna è quando si usa una parola per il suo significato naturale, ma inserendola in un contesto tale per cui il suo significato viene trasformato in qualche cosa d’altro: il termine usato è pura apparenza, perchè ad esso si aggiungono cose che lo snaturano, per questo non è più “essere”, non perchè abbia perso le sue proprietà, ma perchè queste sono state abilmente sfruttate e modificate per diventare altro, l’opposto, per diventare “non essere”.

Se si presuppone che siano “essere” il principio di sovranità popolare e quello di democrazia, (termini che hanno in realtà analogo significato, ma sovente usati per indicare cose diverse, nel primo caso un principio, nel secondo la modalità di espressione dello stesso), ossia se è vero, esistente, reale, effettivo, che in Italia la sovranità appartiene al popolo, se in Italia c’è democrazia, se in Italia è il popolo che con libere elezioni decide chi deve sedere nel Parlamento e nelle altre assemblee delle istituzioni dello Stato, tramite l’esercizio del proprio diritto di voto, col quale esprime la propria volontà (che secondo l’art. 48 della stessa Costituzione e’ “ DOVERE CIVICO”), allora non può “essere” che il popolo sia escluso dalla nomina anche solo di ALCUNI dei propri rappresentanti, e se ciò accade vuol dire che l’affermazione “il popolo è sovrano” non ha nessun senso reale, E NEPPURE E’ VERA come principio, quindi la sovranità non “è”, non esiste, di fatto e di sostanza.

“La sovranità appartiene al popolo”, come scritto nella Costituzione, significa che il popolo, cioè le “molte” persone (65 milioni) che sono cittadine del nostro Stato, hanno collegialmente il potere di sovranità e non singolarmente, e che tale potere va espresso con i meccanismi tipici della democrazia come le elezioni: questo presuppongono il principio di sovranità popolare e democrazia riferiti allo Stato.

Il Presidente della Repubblica, individuo e cittadino eletto, sia pure indirettamente, ma singola persona, e che per definizione non può dirsi “popolo”, ha invece da solo il potere del “popolo”: quello di nominare dei rappresentanti del “popolo” che rappresentano la Nazione, senza consultare il “popolo” stesso.

Il popolo non è uguale a un individuo, “l’essere non può non essere”, quindi se un individuo ha il potere di nominare dei rappresentanti del “popolo” (i Senatori a Vita), allora ha lo stesso potere, come principio, di tutto il “popolo”, quindi non solo non vi è uguaglianza tra i cittadini, come sancito sempre dalla nostra Costituzione all’Art.2, ma soprattutto viene meno il primo principio della nostra Costituzione: la sovranità appartiene al popolo!!!

Se anche un solo cittadino deve avere (!!!) per legge (!!!) (v.Art 59 Cost) più potere di sovranità rispetto ad un altro cittadino o esercitare il suo potere di sovranità in modo sostanzialmente diverso rispetto agli altri cittadini e ai principi fondamentali dello Stato, o può non essere più legato da un principio di fiducia e responsabilità verso il popolo, allora la sovranità non appartiene a tutto il popolo collegialmente, è evidente, ma a molti in un modo, a pochi in un altro, e in uno stato in cui non vi è realmente sovranità popolare, non vi può essere dunque democrazia, ma al massimo oligarchia.

“L’Italia e ‘ un’oligarchia fondata sul lavoro dei molti che lavorano in modo onesto e sfruttati da chi lavora in modo disonesto” dovrebbe essere scritto nel primo articolo della Costituzione, sarebbe una espressione più poetica!

Un calcolo approssimativo ci mostra come nella maggior parte delle regioni d’Italia (tutte, escluse le più piccole), occorrono 100.000 voti per eleggere un senatore (il calcolo tiene conto del rapporto tra popolazione votante e seggi assegnati), quindi pensate un po’: il Presidente della Repubblica ne può eleggere fino a cinque, cioè conta come 500.000 elettori, più sé stesso, che diventa Senatore a Vita a fine mandato, e quindi ne aggiungiamo altri 100.000!!!

Totale Presidente 600.000 voti, totale cittadino 1, insomma una partita senz’arbitro, altro che calciopoli!

“Ma il Presidente è un cittadino anche lui, vergogna!”, mi gridano ancora Parmenide e assieme a lui anche Robespierre, invidioso di non essere riuscito a contare tanto nella Repubblica Francese del Terrore, pur essendo Cittadino anche lui!

Riepilogando quindi ciascun Senatore a Vita potrebbe dire: “io valgo per cento (mila) elettori”, ma in realtà non è stato votato da nessuno, perché non è un candidato alle elezioni. Eppure anch’egli esercita una funzione decisionale e ha un potere (non legittimato da volontà popolare), che vale per 100.000 elettori e che non e’ sicuramente pari a quello degli altri civites (no uguaglianza), ma soprattutto che non trova, mi preme ripeterlo, la sua origine dalla volontà popolare (no sovranità).

Certo fino al Presidente Pertini tutti credevano umilmente che 5 fosse il numero massimo di Senatori a Vita che potessero essere presenti in Senato, ma siccome la Costituzione non specifica bene il numero, da Pertini in poi si optò per l’interpretazione estensiva: ogni Presidente, si disse da allora, ne può nominare fino a cinque!

Risultato: in caso di sostituzione infinita di Presidenti della Repubblica, causa dimissioni o decimazione, secondo l’interpretazione corrente, il numero sarebbe potenzialmente illimitato e quindi potrebbe superare, sempre potenzialmente, anche il numero di Senatori eletti dal popolo, che e’ fissato a 315, si creerebbe così una geronto-oligarchia-suprema a vita, con spese di miliardi (di euro però)!

Ma la nostra attuale situazione, alla luce di questa analisi può anche solo odorare di democrazia?

La prima cosa che insegnano i grandi maestri del Buddismo zen in Giappone è: “quando piove i marciapiedi si bagnano”.

Io non sono un maestro zen, ma una cosa l’ho capita grazie a Parmenide di Elea, ai Presidenti della Repubblica e ai Senatori a Vita: in Italia non siamo in democrazia, e "almeno" questa volta non si puo' dare la colpa a Berlusconi!

Grazie Sig. Presidente e Sigg. Senatori a Vita, se foste persone che amano la Patria e il popolo italiano, almeno questa volta dareste un bell’esempio facendo la cosa giusta: come, con responsabilità, fece il maestro Toscanini, rinunciando all’”investitura”.

W LA NOSTRA POVERA ITALIA E CHE DIO CI AIUTI!

(Perché ho usato lettere maiuscole nelle due parole della locuzione Senatori a Vita? Per rispetto…)

giovedì, ottobre 12, 2006

In onore di un Liberale Bolognese

Nicola Matteucci
Raimondo Cubeddu
12 ottobre 2006

Nicola MatteucciNicola Matteucci era nato a Bologna nel gennaio del 1926. Laureatosi in Giurisprudenza e in Filosofia con Felice Battaglia all’Università di Bologna, si perfezionò (il perfezionamento era allora l’equivalente del dottorato che fu introdotto nell’ordinamento universitario italiano soltanto negli anni 80) all’Istituto italiano di studi storici di Napoli. Lì ebbe come maestri Benedetto Croce e Federico Chabod, e fece conoscenza con alcuni dei giovani studiosi che negli anni immediatamente successivi diventarono, come lui, protagonisti della cultura umanistica italiana.
Tuttavia, diversamente da molti di costoro, ed insieme a Vittorio De Caprariis, Matteucci restò un liberale. Quando, per chi aveva poco coraggio, non era facile, nè di moda, esserlo. Studiò Gramsci ma gli preferì il Costituzionalismo liberale. Ai vari modi in cui si era manifestato ed affermato in Europa e in America dedicò alcune delle sue opere migliori tramite le quali fece conoscere in Italia un esperienza giuridica e politica antica, consolidata ma dinamica: quella della Rule of Law, per molti versi così diversa dalla nostra – impregnata, soprattutto in quegli anni, di positivismo giuridico e tradizionalmente poco attenta al tema dei diritti e delle libertà individuali – da sembrare addirittura nuova.

Nel 1951 era stato tra i fondatori dell’associazione di cultura “Il Mulino”, che nel 1956 ha dato vita all’omonima casa editrice, e più tardi, nel campo più specificamente accademico della rivista “Il pensiero politico “.
A Bologna è stato professore ordinario di Storia delle dottrine politiche e di Filosofia morale, ha ricevuto la Medaglia d’oro come benemerito della cultura nel 1996, e, oltre ad aver diretto le riviste “Il Mulino” e “Filosofia politica” collaborò fin dalla nascita a “il Giornale”.
Oltre che membro di molte ed importanti istituzioni scientifiche e culturali Matteucci è stato Presidente del Comitato scientifico di Società libera, dal quale, nel giugno di quest’anno ha ricevuto il “Premio per la libertà”.
Al suo primo lavoro, dedicato nel 1957 a Jacques Mallete du Pan, hanno fatto seguito opere come Costituzionalismo e Positivismo giuridico, del 1963, Organizzazione del potere e liberta, del 1976, Il Liberalismo in un mondo in trasformazione, la cui prima edizione e del 1972, che hanno aperto orizzonti e lasciato una traccia duratura nella cultura politica italiana e specificatamente, in quella tradizione liberale che Matteucci, in anni in cui non era di moda parlarne, ha investigato in profondità e con originalità sia dedicandosi al compito di annalizzarne e definirne i concetti, sia curando l’edizione italiana di molti dei suoi classici e, in specie, dell’amato Tocqueville.
Di questo partecipe interesse per la filosofia politica liberale, vista anche nelle sue espressioni storiche ed istituzionali, sono frutto anche altri volumi, come Alla ricerca dell’ordine politico, del 1984, filosofi e politici contemporanei del 2001, Lo Stato moderno del 1993, che fanno di Matteucci uno dei principali esponenti della tradizione liberale italiana del dopoguerra, una delle più autorevoli e ascoltate voci dei nostri dibattiti culturali, e un Maestro per tutti coloro che si riconoscono nella tradizione liberale.

Questo era Nicola Matteucci, già ordinario poi professore emerito dell’Università di Bologna, ma lo studioso e uomo Matteucci erano qualcosa di più.
Per parlarne bisogna prendere le mosse dalla constatazione che se un giovane italiano che negli anni 70 voleva sapere qualcosa del liberalismo - e non soltanto perchè sentiva estraneo il marxismo - aveva a disposizione ben poco. Ma quel poco, che corrispondeva poi agli scritti di Matteucci, di De Caprariis e di pochi altri - tra i quali il misterioso Bruno Leoni - alle antologie , alle collane e alle opere da loro curate, era di grande qualità.

Era ineccepibile dal punto di vista scientifico ed anche, come si dice oggi, “formativo”. Fu certamente vero che quel giovane di cui sopra trovava poco di quella cultura economica liberale legata ai nomi di Friedrich A.von Hayek, di Ludwig von Mises, di James Buchanan e di Milton Friedman, e poco anche di quell’ epistemologia liberale legata al nome di Karl Popper, che allora iniziavano a far timido e contrastato capolino nella nostra cultura politica. Ed è anche innegabile che il crocianesimo che aleggiava negli scritti di quei pochi liberali di allora, poteva anche dar fastidio poichè, a torto o a ragione, gli si attribuiva la responsabilità di aver impedito la penetrazione di quei modelli di liberalismo prima ricordati, e di aver in qualche modo favorito, distinguendo il liberalismo dal liberismo, il passaggio di tanti giovani di educazione liberale nelle file dell’azionismo, del socialismo e financo del comunismo.

Ma anche quel giovane “settario” trovava pane per i suoi denti nel Tocqueville, nel Coke, nel Mc Ilvvain e nei pochi altri autori che Matteucci suggeriva a quanti volevano “essere” e non semplicemente “sentirsi” liberali. Si mostrava così quel tratto fondamentale del pensiero politico di Matteucci che consisteva nel muovere da Croce per allargarne la prospettiva con altri e selezionati esponenti del liberalismo del passato, del presente, e con la scienza politica. Ne nacque un modello di liberalismo che aveva ben chiari i propri fondamenti, la propria identità, ma senza richiudersi in una fortezza in cui coltivare il mito di un passato aristocratico e l’ostilità verso un presente volgare.

Ed è ciò che spinse poi Matteucci a confrontarsi, negli anni 90 con Hayek, Popper, Arendt e con altri esponenti del liberalismo contemporaneo fornendoci, e lasciandoci, un esempio concreto di cosa poteva significare essere e sentirsi liberali. Ciò che ben sanno quanti sono stati suoi allievi pur coltivando interessi e orientamenti scientifici diversi.

Nicola - perché cosi volle che lo chiamassi, seguendo una vecchia usanza accademica, dopo che divenni ordinario: e non fu facile sia perché lo avevo conosciuto da ragazzino, alle riunioni del “Il pensiero politico” quando lui era gia “Matteucci” , qualcosa di più di un sia pur autorevole ma semplice professore, sia perché restava quel maestro che qualche volta mi aveva tirato le orecchie - era infatti un liberale nelle idee e nel tratto umano. Elegante e distaccato, autorevole ma non pedante, era diventato un modello. Anche per chi dissentiva dalle sue idee e non soltanto per chi non ne condivideva qualcuna. Un uomo di grande sensibilità ed esperienza col quale si parlava di tutto, di politica, di università e di allievi apprendendo, perché lui la Liberalità l’aveva come dote naturale, cosa vuol dire essere un liberale e come si deve comportare nel mondo. Una lezione che chi ha conosciuto Nicola Matteucci non potrà dimenticare.

Anche i professori e i ricercatori delusi dal governo

Gia' piu' di 2000 firme degli universitari contro la Finanziaria

L'Università Italiana “certamente non si attendeva comportamenti in così clamorosa contraddizione anche rispetto agli impegni programmatici assunti dall'attuale maggioranza nella campagna elettorale”. Sono, infatti, molti “gli aspetti carenti, restrittivi e punitivi anche sul piano retributivo contenuti nel provvedimento”.
Questa finanziaria proprio non piace a nessuno, e tutti si stanno accorgendo della falsita' delle promesse elettorali dell'unione.
Leggete le proteste e firmate:
http://finanziaria2007.universita.selfip.org/

venerdì, ottobre 06, 2006

La sinistra e le tasse

Nella proposta di finanziaria 2007 il sistema delle tasse è cambiato. Al di là del risultato del bilancio tasse aumentate-tasse diminuite quello che è da considerare è la propensione ideologica della sinistra ad usare le tasse come soluzione immediata ai problemi economici dello Stato. Malgrado in campagna elettorale avessero dichiarato di non aumentare le imposte, puntualmente alla necessità non si sono posti il problema di trovare i soldi necessari in modi alternativi ma hanno pensato direttamente di colpire i "ricchi". Ma quali ricchi? Da qualche giorno, molti italiani si sono svegliati scoprendosi ricchi senza avere un euro di più in tasca, tutto perchè nella definizione anche un po' astiosa della Finanziaria di "ricchi" c'entra gente che non lo è proprio, ma si iscrivono a pieno titolo nella categoria del "ceto medio"(anch'esso tuttavia poco definibile). Sembra che ci sia un odio vecchio di decenni, una voglia di punire "i padroni" proveniente direttamente dal comunismo della rivoluzione proletaria e ciò non si può non constatare quando si vedono i manifesti con su scritto "ANCHE I RICCHI PIANGANO" (frase bruttissima, lo Stato non dovrebbe far piangere nessuno) con rappresentata una nave privata da petrolieri sauditi che nessuno dei nuovi supertassati in realtà può permettersi. Detto questo, sembra naturale che il testo della legge sia stato influenzato fortemente dalla sinistra radicale.C'è la possibilità che questo provvedimento possa danneggiare il governo dell' Unione, però; è vero che le classi colpite dalla Finanziaria sono già poco affezionate al centrosinistra, ma gli aumenti coinvolgono anche altre voci delle entrate, con rincari dell' ICI e tasse varie aggiunte, senza contare quelle locali: insomma la misura colpirà comunque tutta la popolazione e se il centrodestra sarà abile a sfruttare il malcontento che ne deriva allora potrebbe infliggere un duro colpo alla popolarità del governo.